CONSIGLI DI LETTURA

“Satura”, di Eugenio Montale

Pubblicata nel 1971, Satura, è la quarta raccolta di Eugenio Montale che dopo Ossi di seppia, Le Occasioni e La bufera e altro, con questo nuovo lavoro si allontana dai precedenti lasciando molti dei suoi affezionati lettori dell’epoca delusi. Illuminanti le parole del critico Riccardo Castellana a riguardo:

Satura non è il capolavoro di Montale: è però il suo libro più vivo e e più decisamente proiettato verso l’orizzonte della ricezione presente, quello che con maggiore incisività sa parlarci del nostro tempo mentre descrive in modo puntuale, e con chiarezza di dettagli mai raggiunta prima, una realtà storica che è ormai alle nostre spalle.

In Satura, infatti, il linguaggio del poeta cambia facendosi più umile, subendo un abbassamento dello stile, il classicismo precedente viene contaminato da qualcosa di più reale, meno allegorico e meno alto. Si scorge l’ombra della normalità, della quotidianità che fa di questa raccolta poetica l’emblema per parte della poetica italiana degli anni successivi.

È maggiore in Satura la tendenza alla prosa, già affiorata in Ossi di seppia, ed ora qui dominante. Montale parla di un tempo a noi più famigliare, più noto, ma all’idea della descrizione degli eventi storici come tragici, si oppone il racconto ironico del poeta, che fa di quegli eventi una farsa.

Al lettore appare chiaramente di trovarsi davanti ad un Montale anziano, vissuto, che guarda sì con ironia al mondo e alla società che lo circonda, ma lo fa celando disillusione e negatività.

La quarta raccolta di Montale si rivela un puntuale vademecum degli eventi degli anni Sessanta: dalla Terra vista dalla luna, al colpo di Stato in Grecia. Dagli eventi storici si subentra in una realtà più intima, quella del dolore per la perdita della moglie. Per quanto riguarda il nome “Satura” è lo stesso Montale a spiegare quali siano i significati nascosti dietro questa parola: primo tra tutti il riferimento al tipo di raccolta mista, miscellanea, in secondo luogo il riferimento alle Satire di Ennio. La raccolta appare come un insieme di cose senza ordine, caratteristica visibile già nella struttura della raccolta.

Troviano, infatti, “Xenia I” e “Xenia II”, sezioni dedicate alla moglie morta, che contengono alcune delle poesie più belle dell’intera raccolta. Montale inzierà a lavorare alle prime liriche di Xenia nel 1964 e a pubblicarle a partire dal 1966, per poi confluire nella raccolta e costituire la prima e la seconda sezione. “Satura I” e “Satura II”, sono le altre due sezioni, che Montale utilizza come sorta di contenitori in cui parlare di diversi argomenti e in cui è evidente la miscellanea di generi poetici: l’epigramma, l’allegoria, l’elemento diaristico, la preghiera, la filastrocca.

In Satura il poeta rinuncia alla poesia sublime per mettere sulla pagina l’Io poetico nella sua interezza e nella sua verità, una raccolta che differisce molto dalle precedenti, ma che risulta interessante e ricca di spunti di riflessione: un viaggio nei pensieri e nell’intimità di un Montale ormai maturo, un poeta ancora capace di reinventarsi.

Di seguito alcune delle poesie più belle tratte dalla raccolta Satura:

Caro piccolo insetto

Caro piccolo insetto

che chiamavano mosca non so perché,

stasera quasi al buio

mentre leggevo il Deuteroisaia

sei ricomparsa accanto a me,

ma non avevi occhiali,

non potevi vedermi

né potevo io senza quel luccichìo

riconoscere te nella foschia.

Avevamo studiato per l’aldilà

Avevamo studiato per l’aldilà

un fischio, un segno di riconoscimento.

Mi provo a modularlo nella speranza

che tutti siamo già morti senza saperlo.

Ho sceso, dandoti il braccio almeno un milione di scale

Ho sceso dandoti il braccio, almeno un milione di scale

e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.

Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.

Il mio dura tuttora, né più mi occorrono

le coincidenzze, le prenotazioni,

le trappole, gli scorni di chi crede

che la realtà sia quella che si vede.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio

non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.

Con te le ho scese perché sapevo che di noi due

le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,

erano le tue.

Fine del ’68

Ho contemplato dalla luna, o quasi,

il modesto pianeta che contiene

filosofia, teologia, politica,

pornografia, letteratura, scienze

palesi o arcane. Dentro c’è anche l’uomo,

ed io tra questi. E tutto è molto strano.

Tra poche ore sarà notte e l’anno

finirà tra esplosioni di spumanti

e di petardi. Forse di bombe o peggio,

ma non qui dove sto. Se uno muore

non importa a nessuno purché sia

sconosciuto e lontano.

Redazione Letturificio
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