BIOGRAFIE D'AUTORE

Giovanni Verga: vita e curiosità
Giovanni Verga vita e curiosità

Giovanni Verga nasce il 2 settembre del 1840 a Catania da una famiglia di agiati proprietari terrieri. A soli diciassette anni compone il suo primo romanzo storico, rimasto inedito, dal titolo Amore e patria. Si iscrive alla facoltà di legge di Catania nel 1858, ma abbandona gli studi nel 1861. Nello stesso anno pubblica, a spese della famiglia, I carbonari della montagna e nel 1865 la commedia I nuovi tartufi.

Verga nella letteratura italiana

Il percorso letterario di Giovanni Verga segna indelebilmente l’intero panorama letterario italiano, scandendo in diverse fasi la narrativa del nostro Paese dalla seconda metà dell’Ottocento fino ai primi del Novecento. I romanzi giovanili di Verga sono romanzi storici e patriottici legati ai modelli romantici, nei quali persiste il tema dell’amore appassionato. Tra questi Amore e patria, Una peccatrice, Storia di una capinera. Il declino del romanzo storico lascia spazio, successivamente, al mondo di campagna e ovviamente al racconto realistico. L’impersonalità che caratterizza la produzione verghiana fa da scuola a molti degli autori successivi.

Il primo successo e gli scapigliati

Nel 1869 si stabilisce a Firenze, allora capitale d’Italia, dove conosce personaggi di spicco come Francesco Dall’Ongaro e Luigi Capuana. Proprio durante il soggiorno fiorentino scrive Storia di una capinera, romanzo epistolare che racconta la vita di Maria, costretta a divenire suora di clausura e a rinunciare ai propri sogni d’amore. Storia di una capinera viene pubblicato, nel 1871, a Milano ed è il primo successo editoriale di Giovanni Verga. Nel capoluogo lombardo l’autore entra in contatto con il gruppo degli scapigliati, in particolare Arrigo Boito ed Emilio Praga. Il movimento scapigliato, spinto da un forte spirito di ribellione contro la cultura vigente dedita al materialismo, mostra cinicamente la miseria della vita nella poesia con la convinzione che la nuova realtà non sia più comprensibile attraverso gli ideali romantici. I romanzi successivi di Verga risentono particolarmente di questa esperienza e contaminazione: l’amore passionale cede spazio alla disillusione e al racconto della ricerca di benessere materiale che pervade la società.

Vita dei campi

Sono proprio queste le premesse che portano Verga a scrivere Vita dei campi e il ciclo dei Vinti. L’autore, infatti, decide di raccontare la smania del possesso, del progresso e del benessere da cui sono travolte tutte le classi sociali. Il punto di vista scelto è quello degli umili pescatori siciliani, legati ai valori di una volta e non ancora travolti dalla corruzione della nuova società. È a questo punto che Verga capisce che, affinché la denuncia sociale sia efficace, deve poter dare l’impressione di esserne fuori, di essere soltanto un osservatore di ciò che accade. Nasce così l’idea dell’impersonalità realistica. Le novelle di Vita dei campi anticipano alcune caratteristiche tipiche de I Malavoglia e dell’intero ciclo dei Vinti. In queste novelle l’autore trova nei contadini e pescatori siciliani l’ultimo baluardo dei veri valori tradizionali.

Il verismo di Verga

L’indagine del Verga verista, cioè lo sforzo di rappresentare la realtà in maniera totalmente imparziale, inizia dalla raccolta di novelle di Vita dei campi, pubblicata nel 1880. In questa l’autore rivolge lo sguardo verso l’umile popolo siciliano, ultimo conservatore di valori tradizionali. La campagna, come nella letteratura risorgimentale, resta il palcoscenico della storia, l’ambiente incontaminato, ma che si sta trasformando, insinuato dal cambiamento sociale. La perdita delle virtù morali e dei veri valori raccontata da Verga è ben evidente in questa raccolta che anticipa i temi fondamentali del ciclo dei Vinti. In queste produzioni il verismo esalta l’esperienza del lettore che coglie a pieno la realtà umana dell’ambiente rappresentato sentendosene parte.

I Malavoglia

I Malavoglia viene pubblicato a Milano da Treves nel 1881 e rappresenta il primo romanzo del ciclo dei Vinti che, nel progetto originario, doveva comprendere ben cinque romanzi. Di questi, Verga pubblica soltanto I Malavoglia e Mastro don Gesualdo. Del terzo romanzo, La duchessa di Leyra scrive soltanto i primi due capitoli. I Malavoglia rappresenta un testo fondante della nostra letteratura, le cui caratteristiche di personaggi e di narrazione influenzeranno molti autori successivi. La storia raccontata è quella dell’umile famiglia Toscano, soprannominata in paese “Malavoglia”, che vive ancora secondo i semplici valori di giustizia e lealtà, ma si scontra con la furbizia, la cattiveria e l’inganno dei compaesani. Ai comportamenti di questi ultimi, ormai legati al solo interesse per il possesso di beni materiali e della “roba”, come la definirà Verga, si aggiungono le tante avversità che colpiscono la famiglia: morti, corruzioni, importanti perdite di denaro. La trasformazione sociale è ormai avvenuta intorno ai Malavoglia e minaccia internamente anche i componenti della famiglia stessa.

Novelle rusticane e Mastro don Gesualdo

Nel 1883 Giovanni Verga pubblica a Torino la raccolta Novelle rusticane. In Novelle rusticane sparisce del tutto il sentimento generoso e i valori messi sì a dura prova, ma sopravvissuti ne I Malavoglia. Prende il sopravvento il mito della roba, la lotta per il possesso, l’avarizia, la cattiveria nei rapporti personali, contaminando tutte le classi sociali. La corruzione dilaga, il progresso porta alla degradazione e spinge la società verso il solo obiettivo del profitto. Le Novelle sono preludio per Mastro don Gesualdo, secondo romanzo del ciclo dei Vinti, uscito a puntate tra il 1888 e il 1890 su la «Nuova Antologia». Il personaggio di Mastro don Gesualdo è il frutto dell’avvenuta trasformazione sociale: un uomo che sacrifica ogni forma d’affetto per il culto della roba e del possesso, focalizzandosi sul raggiungimento dei propri obiettivi e sul desiderio di migliorare, ad ogni costo, la propria condizione sociale. Dal ciclo dei Vinti, come anticipa il titolo stesso, nessuno esce vincitore, tutti perdono: la famiglia Malavoglia soccombe sotto il sentimentalismo in loro ancora presente e Gesualdo Motta, finalmente acquisito il titolo di “don”, si rende conto di aver sacrificato l’amore e i veri valori perdendo anche se stesso.

Redazione Letturificio
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