LETTERATURA FEMMINILE

Il pane perduto, di Edith Bruck: candidato Premio Strega 2021

Il pane perduto è quello di una madre che lotta per sfamare ogni giorno i propri figli, è quello di una donna che si vede strappata alla sua vita per salire su un treno con destinazione sconosciuta. Quel pane è nutrimento, è semplicità, è vita, una vita che da quel giorno per lei, la sua famiglia e per tanti altri ebrei ungheresi sarebbe cambiata per sempre.

Edith Bruck torna a raccontare la sua storia di sopravvissuta ai campi di concentramento in questo libro intenso, nel quale alla memoria dei tragici eventi del Novecento, si intreccia la riflessione su un presente troppe volte ancora razzista, antisemita, intollerante, che fa paura.

In Il pane perduto la Bruck racconta la storia, la sua, di una ragazzina di appena 13 anni che, in un giorno come tanti altri, viene strappata alla normalità per affrontare un lungo viaggio che porta lei e la sua famiglia prima in un ghetto e poi su quel maledetto treno diretto in Germania. C’erano stati dei segnali, delle avvisaglie che qualcosa di terribile stesse per accadere a causa di quel tale Adolf Hitler, di cui lei e i suoi fratelli non sapevano molto:

Il primo vero grande spavento lo avevano avvertito tutti quando Judit era tornata a casa dopo essere stata dallo zio Berti […] e il maestro Rinkò che aveva incrociato con un sorriso beffardo, l’aveva salutata con “Heil Hitler!”. Con sguardo sconvolto la ascoltavano come se quello fosse il nome del demonio; la cucina, i muri bianchi si adombrarono, nell’aria aleggiava quel nome come una macchia scura. Né Ditke, né Jonas, né Judit sapevano bene di chi fosse quel nome. Solo i genitori lo sapevano, ma come dirlo ai figli e cosa dire?

Edith è una ragazzina costretta a crescere velocemente, a fare i conti con la crudeltà umana, con la sofferenza, con la fame e la perdita. Ultima di sei figli, viene deportata in Germania con i genitori, un fratello e una sorella. La madre, dalla quale verrà separata all’arrivo, morirà subito, il fratello e il padre non sopravvivranno a quei campi di sterminio, insieme ad Edith rimarrà la sorella Judit.

La Bruck non si ferma a raccontare gli eventi nel lager, che occupano la prima metà del libro, ma fa luce sulle difficili conseguenze che le due ragazze affrontano una volta uscite dai campi di concentramento. Speranzose di poter trovare affetto dai fratelli, dopo essere sopravvissute all’inferno in terra, arrivano nelle città colpite dai conflitti e rimangono deluse di fronte a parenti algidi, reticenti, in un atteggiamento di difesa davanti ai pianti di Edith e Judit e al loro bisogno di un abbraccio fraterno.

Quella di Edith e sua sorella è una vita dopo la morte, accompagnata da un senso di smarrimento, estraniamento, di paura per il futuro. Ma quale futuro? Un concetto che nei lager non esisteva. La Bruck racconta tutte le peripezie affrontate, i viaggi, gli incontri fatti, i più svariati lavori, dalla commessa alla ballerina. Tutte esperienze di vita accompagnate dalla costante della scrittura. Edith fin da piccola ama scrivere e adesso che la vita l’ha resa, suo malgrado, una sopravvissuta, la carta diventa il suo confessore. Come spesso è accaduto ai reduci dei campi di concentramento, sente la responsabilità della memoria, di trasmettere ai posteri quei tragici eventi e lo fa con una scrittura chiara, limpida, diretta.

“Io ho bisogno di scrivere adesso, per necessità, per respirare”.

[…]“Tu hai libri, ma non hai figli” mi diceva Judit a ogni sua visita a Roma, come se, a confronto dei suoi figli, i libri non fossero niente. “Anche i libri sono figli” rispondevo.

Edith Bruck con Il pane perduto ci dona la sua memoria, la sua storia, una Storia collettiva. La sua voce è la voce di tanti, i suoi ricordi quelli dei pochi sopravvissuti all’inferno dello sterminio.

“Racconta, non ci crederanno, racconta, se sopravvivi, anche per noi”.

Redazione Letturificio
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