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PsicoLetturificio incontra William Wilson

William Wilson è uno dei racconti di Edgar Allan Poe. Come in tutte le storie del maestro dell’orrore, anche qui si respira la tensione e l’angoscia del protagonista che, fin da dall’infanzia, è perseguitato da un uomo, una sorta di doppio, che porta il suo stesso nome, lo imita in tutto e lo sfida in più occasioni.

Di seguito abbiamo immaginato che William Wilson affrontasse una seduta di terapia riflettendo sui cambiamenti in atto.



Salve Sig. Wilson, benvenuto, mi parli di sé, cosa le sta accadendo in questo periodo?

Buongiorno Dottoressa L., questo è per me un pessimo momento, una densa e cupa nube è sospesa tra le mie speranze e il cielo. Questi anni sono stati densi di indicibile miseria, ho visto scivolare via dal mio essere tutte le mie virtù in un solo istante. Ho fatto così tanti errori, macchiandomi di una malvagità che prima non mi apparteneva o forse non sapevo appartenermi. In fondo, se ci penso, fin da ragazzo i miei genitori non hanno potuto fermare la mia inquietudine e le insane tendenze che mi caratterizzavano. Forse, oggi, l’unica cosa che riesce a darmi un po’ di piacere è indugiare nei ricordi della scuola, di quel fabbricato elisabettiano avvolto nella nebbia della campagna inglese.


Mi sembra di intuire che la sua storia vada su più piani temporali diversi. Iniziamo da principio, mi parli meglio della sua infanzia nell’istituto di cui mi diceva. Cerchiamo di fare chiarezza: mi parli meglio di questa sua esperienza infantile nell’istituto

Solo a ricordarlo mi sembra di sentire la fragranza dei pini, il fresco di quei cespugli ombrosi. Come le accennavo, quell’edificio era, al tempo stesso, bizzarro e misterioso: aveva qualcosa di particolare perché trovandovi al suo interno, tra i corridoi e le ampie volte, era difficile stabilire con certezza a quale piano ci si trovasse, se bisognasse salire o scendere. Ho passato in quella scuola ben cinque anni e grazie al mio temperamento sono riuscito ad avere un particolare ascendente su tutti i miei compagni, su tutti tranne uno. Questo ragazzo portava il mio stesso nome e cognome, pur non avendo con me alcuna parentela. Era l’unico ad avere la pretesa di competere con me negli sport e nei compiti in classe. A differenza mia, però, non aveva l’ambizione che lo divorava, anzi era molto riservato e sembrava mosso solo dal desiderio di contrastarmi e mortificarmi. Inoltre, mi imitava in tutto: nelle parole, negli atti, nell’abbigliamento. Mi sembrava di conoscerlo da tempo, di averlo già incontrato.


Quindi lei avrebbe incontrato una persona che ritiene essere, per così dire, il suo doppio, mi spieghi meglio, mi parli di lui.

Mi rendo conto che non è facile da comprendere. Cercherò di spiegarmi meglio: una sera dell’ultimo anno ho pensato di fare a costui uno scherzo e mi sono intrufolato nella sua stanza con una lampada, ma appena ho illuminato il suo viso nel buio sono rimasto intorpidito e un brivido mi ha attraversato il corpo. I suoi lineamenti, ora ben illuminati, erano i miei! Dopo poco mi sono trasferito a Eton, cercando di spazzare via quei tetri pensieri, ma lui mi ha seguito e ha continuato a farlo a Vienna, Berlino, Roma frapponendosi tra me e le mie ambizioni. Il culmine di questi nostri incontri è avvenuto proprio a Roma, durante una festa di carnevale. Dopo averlo visto anche lì, ho deciso di chiudere i conti una volta per tutte. Lo scontro è stato breve, io ero furioso. Ma ad un tratto alle mie spalle ho visto un grosso specchio e mentre avanzavo l’ho visto, non riuscivo a capire se fosse effettivamente lui o io stesso.


William, intuisco una sua condizione psicologica molto complessa che probabilmente richiederà un importante lavoro di comprensione e consapevolezza ma credo che la sua apertura ad un lavoro profondo si sia già manifestata nel suo essere qui oggi.  

Dottoressa mi vergogno di ciò che è stato. Passando per quell’oscura valle ora cerco la pietà e l’indulgenza del mio prossimo, spero sinceramente che lei possa aiutarmi.



Commento Dotteressa L.

Ho ricevuto, negli ultimi giorni, un caso piuttosto complesso che ritengo ancora essere in via di definizione. Si tratta del Sig. William Wilson, che inizialmente mi ha presentato il suo stato definendosi come tormentato da sensi di colpa per aver condotto verso la rovina il buon nome di tutta la famiglia. I suoi molteplici piani di racconto appaiono, fin dal principio, fortemente confusi e mescolati, soprattutto dal punto di vista temporale. Alla mia richiesta di spiegazione introduce, di fatto, nel racconto un elemento inaspettato: pur ritenendosi il responsabile principale della rovina della famiglia a causa delle sue condotte poco consone, una sorta di condizionamento sembra trapelare dall’arrivo nella sua vita di una persona. Si tratta, per sua definizione di un “doppio” in tutto e per tutto, a partire dal nome, della data e dal luogo di nascita. Un doppio se stesso che, fin dall’infanzia, sembra averlo perseguitato e sfidato in più occasioni, fino a condurlo a vere e proprie esplicitazioni di odio e aggressività. Il Sig. Wilson accenna ad alcuni degli episodi con cui questo doppione si sarebbe intromesso nella sua vita, diventando evidentemente per lui una fonte di grave disagio, declinata verso una tipologia di ossessione, tanto da condizionare molti episodi importanti della sua vita. I miei sospetti vanno evidentemente nella direzione di una qualche forma di sdoppiamento della personalità per questa persona, che però ho ancora necessità di approfondire meglio. Il doppio di William appare, infatti, molto più del suo doppione, per come lui stesso ne vive la presenza: si tratta quasi di una entità superiore, capace di sabotarlo, metterlo in difficoltà, una sorta di voce della coscienza, perfida e meschina, in grado di turbare William nell’orgoglio per il confronto che ne deriva. Per tali particolarità, al momento, lo definirei nel quadro del cosiddetto Doppelganger, e lo sviluppo che prevedo per il percorso terapeutico potrebbe avere buon esito proprio se fondato sul riconoscimento, da parte dell’uomo, di questi ultimi aspetti.


Doppelganger 

Doppelganger è un termine tedesco composto da doppel (doppio) e ganger (che va) e nel suo significato letterale è traducibile come “doppio viandante”. Si tratta in sostanza della figura di un “sosia” o “alter- ego” superiore, spesso vissuto come malvagio. Il tema è caro soprattutto alla psicoanalisi, nell’ambito dei disturbi di personalità  e può stare ad indicare  fasi dello sviluppo dell’Io nei quali si renda necessaria una revisione, rimodulazione dell’identità.

Redazione Letturificio
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