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PsicoLetturificio incontra Medardo da “Il visconte dimezzato”
visconte dimezzato

Il visconte dimezzato, tra i più celebri romanzi di Italo Calvino, costituisce insieme a Il barone rampante e Il cavaliere inesistente la trilogia de I nostri antenati. Il visconte dimezzato, adatto anche ai giovanissimi, racconta la storia di Medardo che in guerra, ferito da un cannone, si ritrova fisicamente diviso a metà. L’incidente della storia è l’espediente utilizzato dall’autore per affrontare il tema dell’incompletezza umana.

Di seguito abbiamo immaginato che il visconte Medardo affrontasse una seduta di terapia dallo psicologo riflettendo sulla sua condizione e sui cambiamenti in atto.



Buonasera Visconte, ho sentito molti racconti sulle sue ultime vicende. Cosa la porta qui da me? Inizi pure il suo racconto da dove preferisce, sono qui per ascoltarla…

Buonasera Dottoressa, la ringrazio immensamente per avermi ricevuto. Dopo diverso tempo mi son deciso a venire qui da lei. Quest’ultimo periodo della mia vita è stato ricco di peripezie e, come avrà saputo, sono tornato da poco dalla guerra. Tutti si aspettavano di trovare un uomo valoroso, fiero delle proprie vittorie, ma la guerra ha mosso dentro di me qualcosa di nuovo. Mentre ero al fronte vedevo i nemici che avrei combattuto poco distanti dal mio accampamento, sentivo il sangue che, sparso per mille rivi sulla terra, giungeva fino a me, ma non mi lasciavo lambire, non provavo né accanimento, né pietà. Quando sono tornato, però, ho iniziato a sentirmi diverso, irrequieto, come se avessi dentro di me due uomini differenti, due anime che combattono l’una contro l’altra. Questo stato d’animo è emerso anche nel rapporto con la mia gente. Modi burberi e insolenti, intervallati da bontà d’animo e gentilezza.


Certamente la guerra comporta gravi traumi e ferite nelle persone che come lei si trovano a viverla. Mi capita piuttosto di frequente di affrontare nel mio lavoro tematiche come queste, tuttavia qualcosa, nelle sue parole, mi suggerisce che lei è riuscito a trovare in qualche modo un suo equilibrio. Non è vero? 

Devo ammettere che a prevalere, negli ultimi tempi, è stata la parte peggiore di me. Ed è proprio il motivo per il quale son venuto qui. La mia gente mi ha visto nelle peggiori delle condizioni, quasi stentavano a riconoscermi. Il mio stesso nipote si è allontanato.. mi domando se mai potranno perdonarmi, se i gesti che ho commesso hanno cambiato per sempre la considerazioni che loro hanno di me. In fondo, quanto vale un visconte senza l’amore e il rispetto del proprio popolo?


Ci sono episodi o momenti particolari a cui sta pensando e che le va di raccontare?

Ho commesso atti per i quali provo vergogna, stento anche a raccontarli a lei, ma forse di qualcuno di questi episodi ha già sentito parlare. Non so come dire, sembrava che la mia natura fosse votata alla crudeltà. Nel peggiore di quei periodi mi dedicai agli incendi. Si Dottoressa, ha capito bene! Di notte mi spostavo a cavallo e gettavo esche incendiate sui tetti delle case, spesso erano quelle dei poveracci che avevano avuto qualcosa da ridire sulle mie severe ordinanze. Qualcuno è rimasto ferito e qualcun altro, con mio sommo dispiacere, è morto. Una sera, accecato dalla cattiveria, mi sono spinto fino al paese di Pratofungo, lì dove i malati di lebbra vanno ad abitare per evitare di contagiare gli abitanti dei paesi circostanti, ed ho incendiato tante di quelle casupole di paglia… Purtroppo, devo confessarle che non mi sono limitato soltanto a colpire poveri sconosciuti, ma me la sono presa anche con persone a me molto care: ho tentato di avvelenare il mio stesso nipote con dei funghi, e con l’inganno, inoltre, ho mandato la cara balia Sebastiana tra i lebbrosi.


Purtroppo quando nelle vite degli umani intervengono periodi ed episodi così traumatici, come quelli causati dalla guerra, le conseguenze si mostrano nelle persone e nei rapporti. Così come è cambiato lei, è plausibile che anche gli altri cambieranno e così anche i reciproci rapporti. Con un buon lavoro su se stesso, però, tutto questo può essere vissuto come un momento di crescita personale e relazionale. Tuttavia sento che qualcosa ancora la turba, di che si tratta? 

Prima di questa guerra, prima che la mia vita cambiasse, credevo di vedere il mondo per come era, nella sua interezza, ma in realtà ne vedevo solo la scorza, la superficie. Questo essere diviso mi ha insegnato a guardare la vita con occhi nuovi, ad osservare con profondità ciò che mi circonda e ad interrogarmi su quanto sia labile il confine tra buono e cattivo. Adesso riesco a capire per ogni persona che incontro la pena che prova per la propria incompletezza. Prima mi muovevo sordo e incapace di comunicare tra i dolori e le ferite seminate ovunque, anche lì dove non le avrei mai immaginate. Ma adesso mi rendo conto di essere io stesso incompleto, ferito. So riconoscere il dolore degli altri e curo i miei mali, curando i loro.



Commento Dottoressa L.

Quando il Visconte Medardo si è presentato al mio studio, la sua fama e le narrazioni sul suo conto l’avevano già preceduto: storie ed aneddoti su di lui circolavano già da diverso tempo. L’uomo che ho incontrato era evidentemente provato nel fisico, più che nella mente; un uomo segnato dalle ferite tangibili della guerra appena passata. Tuttavia è stata fin da subito la sua condizione psichica ad attirare la mia attenzione. Questa mia valutazione è derivata dalla sfumatura che sono riuscita a cogliere già nelle sue prime parole: seppur nella tragicità della sua condizione post-bellica, l’uomo, lasciava trasparire, sorprendentemente, un certo equilibrio psichico. Proprio questa possibilità ha, in effetti, permesso al suo lavoro mentale di progredire oltre ed avvicinarsi ad elaborazioni più profonde e complesse. Mi riferisco alla tendenza del Visconte ad interrogarsi, a partire dalle sue vicende, sulle conseguenze delle azioni umane in generale e sui cambiamenti che esse possono indurre proprio nelle relazioni. La possibilità di guardare alla realtà quotidiana e ai rapporti interpersonali con uno sguardo diretto oltre la superficie, unitamente alla pressante esigenza di voler comprendere e conoscere la realtà stessa in maniera più completa, aprono infatti l’essere umano a pensieri che possono risultare estremamente complessi. Sono argomenti a cui il Visconte accenna soltanto nella parte finale del nostro incontro, ma che parlano della sua evidente spinta ad interrogarsi su tematiche che spesso non hanno una risposta immediata e, alle volte, non la trovano affatto. Ho la sensazione che se il Visconte dovesse continuare ad assecondare questo tipo di lavoro, si troverebbe nella inevitabile condizione di alienazione umana, aprendo la strada ad un processo di estraniazione dalla realtà che può portare l’essere umano a non riconoscere neppure se stesso.


Alienazione (umana)

Il termine  alienazione ha una origine filosofica e viene solitamente usato per indicare il profondo disagio dell’essere umano all’interno della realtà. La percezione della dualità tra bene e male e la consapevolezza e il riconoscimento della grandezza e del limite umano stessi, sono le tematiche più facilmente riconducibili al significato di questa parola, introdotta a partire da studiosi come Rousseau, Hegel e Fichte, per poi trovare la sua piena espressione con Marx ed Engels.

Redazione Letturificio
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